SCRITTORI E GUSTO URBANO FRA SETTECENTO E OTTOCENTO
di: Francesco Iengo a cura di Mario Della Penna
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Capitolo V (I parte)

LA STRADA URBANA DEL SETTECENTO E DELL'ILLUMINISMO

La strada urbana-tipo del Settecento, è piena, diritta, lunga, larga, ben lastricata (74), e costeggiata da palazzi la cui altezza dev'essere proporzionata alla sua larghezza. L'illuminismo la vuole, in più, anche popolata: di gente e di veicoli. Torino, Livorno, Aix en Provence, ecc., si possono considerare città esemplari del Settecento perchè, più o meno, esibiscono strade di questo genere. Ma ciò dà anche ragione di certi altrettanto esemplari fastidi del secolo, qualcuno dei quali vale la pena ricordare.

Montesquieu, delle strade per esempio di Genova, menziona solo la Strada Nuova (oggi via Garibaldi) "più larga delle altre, che sono molto strette, e piena di bei palazzi" (75).

A proposito, poi del Campo dei Miracoli di Pisa, scrive (e in ciò che apprezza è implicito ciò che rifiuta):

«Trovo abbastanza ben fatto che la Torre, la chiesa, il Battistero, il Campo Santo, siano separati, e che ci sia molto spazio fra l'uno e l'altro; il che fa un bell'effetto e permette di vedere bene la grandiosità di questi edifici» (76).

Questo concetto, egli lo ribadisce a Roma, a proposito dell'ubicazione di Palazzo Barberini:

«Al Palazzo Barberini resta solo una piazza da fare. E' coperto da case bruttissime, che lo separano dalla strada» (77)

Il contrario Montesquieu crede, a prima vista, di trovare a Napoli:

«Le strade sono larghe e ben pavimentate con grossi e larghi massi di pietra squadrata. Le case, tutte grandi e pressappoco della stessa altezza. Molte piazze grandi e belle; e cinque castelli o fortezze, che non si finisce di ammirare» (78)

Ma, poco dopo, arriva la precisazione:

«Via Toledo è molto larga, mentre la maggior parte delle altre strade sono strette» (79) 

Un'altra bella città, quantunque "minore", secondo Montesquieu è Rimini:

«Vie larghe e ben tracciate; due belle piazze, molto grandi, e alcuni monumenti antichi (evidentemente ben visibili, data la larghezza delle vie e delle piazze). E' una città più grande e più popolata di Fano» (80).

Reggio Emilia:

«Reggio è abbastanza bella: le strade sono più larghe che a Modena, e c'è più aria. Per il resto, non è gran che, nè per gli edifici pubblici e privati, nè per i quadri, nè per il numero degli abitanti» (81).

Parma:

«Alla prima occhiata Parma offre un bellissimo spettacolo; le strade sono belle, larghe, vaste, grandi; le chiese, belle; le fortificazioni in buono stato, ed i bastioni costituiscono una bellissima passeggiata» (82).

Dunque, per Montesquieu, la strada urbana, oltre a possedere tutte le caratteristiche che già conosciamo, deve anche, e soprattutto, configurarsi come una suite di pezzi pregiati (palazzi privati, specialmente), ciascuno inteso come autonomo rispetto agli altri: Montesquieu è la testimonianza più chiara di come la strada urbana settecentesca sia essenzialmente una funzione di questi palazzi, così come questi sono una funzione della strada.

E' questa, dunque, la ragione per cui deve esserci un'esatta proporzione fra larghezza della strada ed altezza dei palazzi: solo in questo modo, infatti, questi ultimi possono conseguire lo scopo per il quale sono allineati lungo la strada, e cioè, quello di essere contemplati come pezzi singoli, ciascuno nel proprio rispettivo "significato", costituito essenzialmente dal prestigio sociale del proprietario.

Anche la proporzione di cui sopra, dunque, diventa un altro, autentico canone interpretativo (oltre che costruttivo), che Montesquieu puntualmente applica alle stesse, singole architetture, come per esempio San Pietro: 

«La bellezza delle proporzioni fa apparire San Pietro, all'inizio, più piccola di quanto sia; se la chiesa fosse più stretta, apparirebbe lunga; se fosse meno lunga, apparirebbe larga, e questo darebbe sempre un'idea di grandiosità. Ma l'esattezza delle proporzioni fa sì che nessuna cosa colpisca più dell'altra, e che all'inizio non se ne resti meravigliati. Bisogna attendere che l'esame e la riflessione ve ne facciano sentire la bellezza» (83).

Tornando alle strade, de Brosses, per esempio nella città francese di Vienne, mostra le stesse idee di Montesquieu, quando scrive che l'ubicazione della Piazza del Duomo ne farebbe un "luogo magnifico" se la piazza stessa fosse ingrandita e resa più regolare (84).Ma più chiara ancora un'osservazione a Genova:

«Le vie (di Genova) non sono altro che immensi scenari d'opera. Le case son ben più alte che a Parigi; ma le vie sono così strette che Mypont può confermare che non esagero se vi dico che la metà di esse non ha più di un braccio di larghezza, per quanto le fiancheggino case di sette piani; di modo che, se da una parte questa città, in quanto a edifici è molto più bella di Parigi, dall'altra ha lo svantaggio di non poter mostrare quanto vale a causa della cattiva distribuzione urbanistica» (85).

Anche per de Brosses, la preoccupazione parrebbe del tutto, e soltanto, scenografica: le strade strette sono, per lui, negative, non tanto, poniamo, dal punto di vista delle comunicazioni, quanto perchè impediscono ai palazzi di mostrarsi in quanto simboli di stato, ciascuno di per sè autonomo, ed in concorrenza con gli altri (86). Occorrerà arrivare ad una pagina di Heine su Berlino, del 1828, per avere una brillante e diretta confutazione di questa ideologia della strada urbana, anche se qualche parziale avvisaglia critica la conosce già il Settecento (87). E' tuttavia da notare che questa ideologia della strada urbana, parrebbe specifica soprattutto del Settecento (e del Settecento razionalismo in particolare), se il gusto barocco d'un Tassoni per esempio (e se Tassoni, ovviamente, può essere considerato riassuntivo di questo gusto), agli inizi del Settecento sembra considerare la strada in quanto tale sotto il solo profilo comunicativo. Si legga questo passo dal Paragone degli ingegni antichi e moderni

«Le strade si dee credere che sieno all'età nostra molto più spaziose e diritte e lunghe e belle che non erano anticamente, se non per altro, almeno perchè non manca sito per le carrozze suntuose e grandi che si usano a questi tempi in copia sì grande, che è divenuto vile l'andare a piedi; nè vi è strada dove non s'entri a passeggiare, nè vicolo dove non si possa dar luogo ad altri che s'incontrino; il che per lo meno richiede lo spazio di venticinque palmi fuor dalle soglie e sporti delle botteghe» (88).

Tassoni, insomma, non parla affatto delle strade in rapporto ai palazzi nè di questi in rapporto a quelle: la sua strada è, ripeto, soltanto in funzione della comunicazione, e la eventuale espressività di questa strada, è definita solo a partire dal rapporto, vincente, con "gli antichi".


(74) Scrive per esempio l'inglese JOHN GWINN (cfr. London and Westiminster Improved. A discourse in Public Magnificence - 1766 - antologizzato in trad. it. da PAOLO SICA, op. cit., p.36):  "e' desiderabile che i piani di tutte le grandi città siano costituiti da linee rette, e che le strade si incontrino ad angolo retto, poichè eccetto che in casi di assoluta necessità gli angoli acuti dovrebbero essere sempre evitati, in quanto comportano spreco di terreno e menomazione degli edifici". A una simile poetica urbana doveva aderire, già nel 1727, JONATHAN SWIFT (cfr. Viaggi di Gulliver in vari paesi lontani del mondo, trad. it. UGO DETTORE, Milano, Rizzoli, 1981, vol. I, p.87 - parte I cap. IV), quando  immaginava così Mildendo, la metropoli dei Lillipuziani: "La città è un quadrato esatto il cui lato, lungo le mura, è lungo cinquecento piedi; le due strade principali che, incrociandosi, la dividono in quattro quartieri, sono larghe diciotto piedi... Le case hanno da tre a cinque piani... Nel centro della città, dove le due vie principali s'incontrano, sorge il palazzo dell'Imperatore.

(75) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 108. Di questa strada, aveva detto, nel 1705, JOSEPH ADDISON (in Remarks on Several Parts of Italy, cit. in CESARE DE SETA, p.158) che essa "non è che una doppia fila di magnifici palazzi di geniale struttura, fatti per accogliere i più grandi principi della terra".

(76) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 130.

(77) Ibid. p.207. Cent'anni dopo esatti (1828), un giudizio del tutto negativo sul palazzo, in STENDHAL (Promenades dans Rome, cit., vol. II, p. 82): "Le palais Barberini serait frappant de beautè sévère au nord des Alpes; ici, il montre le mauvais goût du Bernin".

(78) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 237.

(79) Ibid. p. 241 

(80) Ibid. p. 301. Rimini fa parte delle città italiane "ben degne di essere viste" anche per JOSEPH-JEROME de LALANDE, il cui Viaggio in Italia, del 1769, diventa presto un best-seller del genere (cfr. CESARE DE SETA, op. cit. p. 211)

(81) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 325.

(82) Ibid. anche per GIBBON (CESARE DE SETA, op. cit., p. 211) Parma ha "strade molto belle", sebbene gli edifici "non lo siano troppo".

(83) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., pp. 198-199. "Il gusto (di Montesquieu) è dominato da un classicismo eloquente - quello peraltro tipico della cultura tardo-settecentesca francese - da un'aspirazione al razionalismo dei partiti compositivi, dalla nitidezza del disegno" (CESARE DE SETA, op. cit., p. 183). Quanto all'occhio che giudica d'un'architettura attento prevalentemente ai rapporti e alle proporzioni, è almeno da ricordare anche il MISSON, il quale, nel 1691, aveva trovato in San Marco a Venezia una chiesa "un pò troppo larga per la sua lunghezza" (ibid. p. 190).

(84) CHARLES de BROSSES, op. cit. p. 6 

(85) Ibid. p. 31.

(86) De Brosses, per esempio, trova anche ad Aix (op. cit. p. 18) che "il municipio è mal collocato, in una strada stretta che toglie alla vista la facciata, molto bella"; oppure, ancora a Genova (ibid. p. 31-32), specifica che "c'è un che di ridicolo nell'aver adoperato lo stile architettonico più maestoso, sulle aree più ristrette"; oppure, come esempio contrario, cita Sampierdarena (ibid. p. 43) perchè "è piena di magnifiche case, le quali, rispetto a quelle della città, hanno il vantaggio di essere isolate, di avere aria intorno e grandi giardini pieni di grotte, di fontane, di boschetti che si stendono sulle vicine montagne. E' il posto ideale per passeggiare". "Da de Brosses come da Montesquieu (...) le architetture sono valutate come pezzi unici, come singoli volumi (...) e nello stesso tempo messe in relazione nelle prospettive degli assi stradali, nelle scenografie delle piazze, nei colpi d'occhio complessivi" (ROBERTO PAVIA, op. cit., p. 129)- E' comunque un modo di guardare che troviamo, in qualche personalità marginale, fino ad Ottocento inoltrato. il pittore russo SIL'VESTR SCEDRIN, per esempio, così descrive Genova nel 1829 (cfr. ETTORE LO GATTO, op. cit., p. 81): "Genova è una delle  più splendide città d'Ialia; i maestosi palazzi e le magnifiche scalinate di marmo bianco le danno pieno diritto di portare il nome di Superba. La Strada Nuova e la Novissima sono abbastanza larghe e fiancheggiate dai più bei palazzi (...) Escludendo le due strade indicate, però, tutte le altre sono molto strette e le case molto alte, perciò le decorazioni architettoniche non fanno grande effetto (...) La chiesa cattedrale di S. Siro, sebbene bella, non fa alcun effetto perchè si trova in strade strettissime e l'interno è perciò molto scuro".

(87) Alludiamo, in particolare, al passo d'un romanzo utopico del 1752, di STANISLAO LESZCZINSKI (v. PAOLO SICA, op. cit. p. 18), che suona: "(Duomocala) era una città immensa, con le strade pulite, larghe e ben tagliate" (in cui, però, le case dei privati non avevano) "quell'aspetto esteriore superbo con l'orgoglio delle ricchezze affetta presso di noi, e che non serve che a eccitare l'indignazione o la gelosia. La pompa e la magnificenza erano riservata per gli edifici pubblici". Di questa ideologia si ricorderà Heine.

(88) ALESSANDRO TASSONI, Paragone degli ingegni antichi e moderni, libro X, a cura e con traduzione di MARIO RECCHI, Lanciano, Carabba, 1919, vol. II, p. 60.


Theorèin - Luglio 2006